L’importanza di ‘intercettare’ più rapidamente possibile i pazienti con FA
“Una buona testa ed un buon cuore sono sempre una formidabile combinazione” disse Nelson Mandela. Mai niente di più vero se facciamo riferimento alla relazione che c’è tra la Fibrillazione Atriale (forma più comune di aritmia) e l’Ictus Cerebrale, la più frequente malattia neurologica. Se ne è parlato recentemente in una conferenza stampa a Roma in occasione della Giornata Mondiale contro l’Ictus Cerebrale. Sono emersi dati allarmanti: in Italia, sono circa 1 milione le persone con Fibrillazione Atriale (FA). Questa aritmia, che colpisce una persona su 4 dopo i 55 anni, è la causa di circa il 20% degli ictus ischemici. I dati, però, non tengono conto di tutti quei pazienti colpiti da episodi FA asintomatica.
Non solo: l’ictus causato da FA tende ad essere più grave perché l’embolo che parte dal cuore chiude arterie di calibro maggiore, con un danno ischemico a porzioni più estese di cervello. Ecco che per sensibilizzare le Istituzioni, il Servizio Sanitario Nazionale ed i cittadini sull’importanza della cura della FA e della prevenzione dell’ictus cerebrale, l’European Brain Council (ente scientifico europeo che rappresenta una vasta rete di pazienti, medici e scienziati in stretto contatto con il Parlamento Europeo) ed A.L.I.Ce. Italia Onlus (Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale), hanno indetto una Tavola Rotonda, che ha visto la partecipazione di importanti esponenti Istituzionali e del mondo medico, scientifico ed economico.
“L’ictus rappresenta la prima causa di morte e la terza di invalidità. Sono 200.000 gli italiani che ogni anno ne vengono colpiti e oltre la metà di questi rimane con problemi di disabilità grave. È necessario aumentare lo sforzo per la prevenzione dell’ictus. Occorre garantire equità di accesso su tutto il territorio nazionale per le terapie più acute e un percorso riabilitativo in grado di garantirne la continuità – dichiara Gian Luigi Gigli, ex Coordinatore dell’Intergruppo Parlamentare sui problemi sociali dell’ictus. L’impatto di questa patologia risulta particolarmente gravoso. Infatti, il costo medio annuo a paziente con disabilità grave per famiglia e collettività, escludendo i costi a carico del SSN, è di circa € 30.000,00, per un totale di circa 14 miliardi di euro l’anno”.
La Fibrillazione Atriale
L’incidenza della FA, pari a circa il 2% della popolazione generale è destinata ad aumentare notevolmente. Le condizioni che favoriscono la progressione della malattia sono: ipertensione arteriosa, obesità, diabete mellito, insufficienza renale cronica, ipertiroidismo e tutte le malattie cardiache organiche. Inoltre, abuso di alcol, droghe e caffeina possono favorire la FA. In molti casi comunque, la FA si manifesta in assenza di fattori predisponenti.
“Chi è affetto da FA vede aumentare di 4 volte il rischio di ictus tromboembolico, che risulta in genere molto grave e invalidante. Questa forma di ictus determina una mortalità del 30% entro i primi tre mesi dall’evento e lascia esiti invalidanti in almeno il 50% dei pazienti” sostiene il prof. Filippo Crea, Direttore del Dipartimento di Scienze Cardiovascolari Policlinico Agostino Gemelli, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. È di fondamentale importanza ‘intercettare’ più rapidamente possibile i pazienti con FA. Una volta fatta la diagnosi, il passaggio successivo “consiste nello stabilire la necessità di una terapia anticoagulante per ridurre il rischio d’ictus e nella identificazione di cause predisponenti sottostanti che spesso necessitano di cure specifiche”.
Da qualche anno, anche in Italia, è arrivata la nuova generazione degli anticoagulanti orali che, rispetto ai vecchi farmaci, presentano una serie di vantaggi. In primis conservano solo poche interazioni pericolose con altri farmaci, ma soprattutto hanno una grande praticità d’uso. Infatti non è necessario ricorrere al dosaggio dei parametri della coagulazione per regolarne la posologia. Tutto questo determina una maggiore aderenza alla cura rispetto al passato. “La gestione della FA – continua il prof. Crea – mira a ridurre i sintomi e il rischio di gravi complicanze ad essa associate, come appunto l’ictus. Ad oggi tuttavia si calcola che circa il 30-40% di pazienti affetti da FA in Italia non riceva un trattamento adeguato nonostante siano da tempo disponibili queste soluzioni terapeutiche in grado di trattare in maniera efficace, sicura e agevole questa patologia”.
L’ictus cerebrale
La cura principale dell’ictus è la gestione di pazienti nelle Stroke Unit. Queste, sono unità cerebrovascolari dove neurologi ed infermieri esperti in patologia cerebrovascolare procedono alla stabilizzazione neurologica del paziente, secondo linee guida nazionali ed internazionali. Solo nelle Unità Ictus, i pazienti con ictus ischemico selezionati possono essere sottoposti a terapia di rivascolarizzazione come la trombolisi intravenosa e la trombectomia meccanica. In questa sede, inoltre, i pazienti sono sottoposti anche a trattamento riabilitativo precoce, altro punto di fondamentale importanza nella prospettiva di un ottimale recupero funzionale.
“Secondo quanto riportato nel Decreto Lorenzin, in Italia ci dovrebbe essere un centro ictus di primo livello, dove poter fare la trombolisi intravenosa, ogni 150.00-300.000 abitanti. Inoltre, dovrebbe essere previsto un centro di secondo livello, dove poter fare oltre alla trombolisi intravenosa anche la trombectomia meccanica, ogni 600.000-1.200.000 abitanti. Globalmente, quindi, dovremmo avere circa 300 centri, di cui circa 240 di primo livello e circa 60 di secondo livello” dichiara il prof. Danilo Toni, Responsabile Stroke Unit Policlinico Umberto I di Roma. Attualmente “abbiamo in tutto 175 centri, fra i quali 53 hanno strutture per poter effettuare i trattamenti endovascolari”.
Purtroppo, la distribuzione sul territorio nazionale è disomogenea. Si passa da una copertura buona nel centro-nord ad una insufficiente nel centro-sud. Inoltre, continua il prof. Toni, è “necessario sviluppare in maniera adeguata la connessione in rete fra centri di primo e di secondo livello, per poter assicurare le terapie più avanzate a tutti i pazienti che abbiano le indicazioni cliniche ad essere trattati”. Attualmente, infatti, vengono trattati ogni anno solo il 35% dei pazienti che hanno indicazione alla trombolisi intravenosa e addirittura meno del 10% di quelli che avrebbero indicazione alla trombectomia meccanica.
Una corretta prevenzione con il controllo dei fattori di rischio, il riconoscimento tempestivo dei sintomi e la possibilità di poter ricevere, in tempi brevi, assistenza medica e cure appropriate sono elementi fondamentali per limitare l’impatto dell’ictus cerebrale, altrimenti devastante.
Fonte: insalutenews.it